Fonte: Torino CRONACA QUI

17-03-2020 – L’emergenza vista dal direttore sanitario di “Motore Sanità”, Claudio Zanon

Prima a registrare un focolaio autoctono, oltre che a raggiungere il più alto numero di decessi, la Lombardia «sta reggendo, nonostante la grande pressione», come spiega il direttore sanitario di Motore Sanità, Claudio Zanon, che la indica come uno dei punti di riferimento a livello nazionale.
Dottor Zanon, per quale ragione la Lombardia è un modello?
«Perché nonostante un focolaio epidemico estremamente importante, basti pensare che qui si è concentrata quasi la metà dei deceduti in Europa, tutti gli ospedali, sia pubblici che privati, stanno facendo grandi sforzi per sopperire alla necessità di posti letto in terapia intensiva, cercando di aumentarli per non lasciare indietro nessuno».

Il segreto sta nella collaborazione tra pubblico e privato?
«Qui non esiste alcuna suddivisione ideologica tra pubblico e privato: qualunque ospedale, di fronte alle deliberazioni della Regione, ottempera. Trovo un po’ stucchevoli le polemiche che contrappongono pubblico e privato».
Il nostro sistema sanitario, più in generale, risponde bene?
«Le Regioni, in particolare Lombardia, Veneto e Emilia Romagna, stanno rispondendo al coordinamento nazionale al meglio, tant’è che questo tipo di esperienza verrà presa a modello da altri Paesi che sceglieranno di isolare il più possibile i pazienti».
In molti si domandano sedi fronte all’emergenza vengano fatte distinzioni tra i pazienti…
«Noi cerchiamo di dare il massimo possibile in ogni azienda ospedaliera, sia perla terapia intensiva dedicata al Covid-19, sia per la normale attività: rallentiamo con i pazienti procrastinabili, ma non ci sono grosse differenze rispetto a prima. Per adesso i pazienti sono tutti coperti ma, ad esempio, abbiamo avuto un paziente molto grave di 86 anni che non aveva alcuna possibilità di miglioramento, anche se intubato. Così, in accordo con i famigliari e visti i parametri, abbiamo deciso lasciare un posto disponibile a qualcun altro. Non rinunciamo a trattare i pazienti che ce la possono fare, ma anche quelli che non cela possono fare hanno il meglio. Non si lascia indietro nessuno, ma bisogna usare la testa: i protocolli a cui ci atteniamo non sono cambiati rispetto a prima».
Il nostro sistema sanitario ha risposto bene o ci sono state delle falle?
«Ad oggi ci sono tre modelli nel mondo: il primo è quello di Israele, che ha effettuato una tracciatura a tappeto della popolazione attraverso “social” e Gps, isolando tutti i positivi. Questa via è quella seguita da Singapore e dalla Corea, ma è un modello che sta cercando di seguire anche il Veneto. La seconda via è quella di Wuhan, che ha chiuso tutto ed è quello che sta succedendo in Italia adesso, anche se a “pezzettini” e con un po’ di ritardo. La terza è quella del Regno Unito che ha scelto di evitare il tracollo economico e accettare che muoiano tra le 300mila e le 500mila persone, soprattutto anziane. Questo per raggiungere il picco più in fretta e così l’immunità di gregge. L’Italia non ha venti sanità diverse, ne ha due: quella che funziona e quella che non funziona».
C’è chi sostiene che la sanità debba tornare a essere gestita dallo Stato, cosa ne pensa?
«Non credo esista nemmeno la possibilità di tornare a farlo e non avrebbe senso. Pensiamo a come migliorare, magari evitando di polemizzare sugli “sperperi” o sui costi. Negli ultimi anni l’Italia si è depauperata di personale e posti letto, non ha potuto fare nient’altro che scegliere il contenimento. Questo ci servirà da lezione».
C’è un problema serio di dotazioni di sicurezza e in Lombardia ne avete avuto prova con un invio di mascherine inutilizzabili…
«Mascherine ridicole, per cui chi le ha mandate avrebbe dovuto rendersi conto di cosa stava inviando. Con quelle non c’è alcuna sicurezza».
A parte questi episodi, cosa potrebbe essere migliorato?
«Credo che le Regioni debbano scambiarsi le “best practice” adottate e potenziare la collaborazione per gestire i pazienti».
Il Piemonte sta rispondendo nel modo giusto?
«Mi sembra che il Piemonte stia reggendo bene. Si faccia tesoro di ciò che stanno facendo Lombardia e Veneto, con cui non vedo grosse discrepanze, perché c’è una grande tradizione storica in termini di professionisti e di organizzazione del sistema».