Ci sono casi di tumore del polmone, circa un terzo, in cui oggi l’unica strada percorribile è quella della chemioterapia e della radioterapia: parliamo del carcinoma non a piccole cellule localmente avanzato (i medici lo definiscono stadio 3), non operabile.
Nonostante i trattamenti aggressivi, nella maggior parte dei pazienti la malattia progredisce, spesso velocemente, e soltanto per il 15% dei pazienti la sopravvivenza raggiunge i cinque anni dalla diagnosi.
Pubblicato sul New England Journal of Medicine, ora uno studio sembra poter cambiare la storia di molte di queste persone. E a Madrid, al congresso della Società europea di oncologica medica – Esmo 2017, dove sarà presentato nel dettaglio questo pomeriggio, è l’argomento del giorno. Lo studio. PACIFIC – questo il nome dello studio clinico di fase III – è stato guidato dal Moffitt Cancer Center di Tampa, in Florida, e ha coinvolto 235 centri di 26 paesi.
Per la prima volta in questa malattia è stato testato il farmaco immunoterapico durvalumab, un inibitore del checkpoint immunitario PD-L1 (ben noto come bersaglio di altre immunoterapie). La sperimentazione è stata condotta su 713 pazienti già trattati con chemioterapia a base di platino e radioterapia, divisi in due gruppi: per 12 mesi, in un caso è stato somministrato durvalumab (ogni due settimane), nell’altro un placebo. I risultati. In media, la sopravvivenza libera da progressione della malattia è stata di 16,8 mesi nel braccio con durvalumab, rispetto a 5,6 mesi del placebo: circa il triplo. “Durvalumab diminuisce la probabilità di progressione del 48%, con miglioramenti in tutti i sottogruppi di pazienti”, ha detto il primo autore della ricerca, Luis Paz-Ares dell’Hospital Universitario Doce de Octubre di Madrid, che tra qualche ora presenterà tutti i dati all’Esmo.
Il farmaco potrebbe agire su eventuali micrometastasi già diffuse nell’organismo, sebbene troppo piccole per essere rilevate dagli strumenti diagnostici. Cambio di paradigma. È importante sottolineare che il placebo corrisponde in questo caso alla vita reale, perché per queste persone, in cui il tumore si è diffuso nelle immediate vicinanze dei polmoni (ai linfonodi del mediastino), non ci sono altre strade da tentare dopo chemio e radioterapia.
E’ stato anche visto che la radioterapia eseguita in concomitanza con l’immunoterapia possa aumentare l’efficacia di quest’ultima nello stimolare il sistema immunitario. “Complessivamente c’è stato un lieve incremento della tossicità, ma la percentuale degli eventi avversi gravi è simile nei due gruppi”, ha detto ancora Paz-Ares. In particolare, eventi avversi si sono verificati nel 68% dei pazienti nel gruppo trattato con durvalumab e nel 53% nel gruppo del placebo; quelli immunomediate sono stati rispettivamente il 24% e l’8%, mentre la polmonite severa si è avuta nel 3,4% e 2,6% dei casi. Mancano ancora i dati sulla sopravvivenza generale, ma questi numeri potrebbero portare a un cambio di rotta nel trattamento di questa malattia.