“Vorrei una Fimmg performante per una medicina generale performante a tutti i livelli. Noi dobbiamo interrogarci su come migliorare non su come sopravvivere”. Per il Segretario generale nazionale, della Fimmg Silvestro Scotti, la medicina di famiglia ha bisogno di una scossa rivitalizzante. Perché in gioco non c’è solo il futuro di una categoria che nei prossimi anni sarà ridotta all’osso a causa degli effetti della gobba pensionistica, ma la sopravvivenza stessa del Ssn.

Un Ssn che senza il supporto di una medicina di famiglia motivata, valorizzata e responsabilizzata non sarà in grado di reggere l’impatto provocato dallo tsunami delle cronicità.

Serve quindi un riconoscimento sociale del ruolo che il medico di famiglia svolge. La possibilità di una progressione di carriera e anche un ampliamento di competenze nell’ambito della didattica e della ricerca. Occorre poi riconsegnare alla medicina generale alcune importanti aree di terapia. E ancora, è necessaria una riduzione della pressione fiscale sulla parte variabile del reddito per motivare il medico di famiglia a migliorare le proprie performance.

Dottor Scotti, inevitabile partire dalla nuova convenzione. Un tema sentito tant’è che proprio ieri tra le richieste al Governo, inserite nel parere favorevole della Commissione Sanità del Senato al Def, c’è la garanzia di fondi per irinnovi dei contratti e delle convenzioni. A bocce ferme com’è la situazione?
Penso che siamo giunti al redde rationem. Se non si interviene con azioni incisive il sistema salta. Comprendo che il momento è complesso e sono anche vicino al ragionamento portato avanti dalle Regioni sempre più costrette a dover governare un Fondo sanitario che non regge rispetto allo sviluppo e alle necessità organizzative che il sistema richiede. Ma ciò detto credo che se non si investe sulla sanità in generale e sulla medicina di famiglia in particolare non riusciremo a sostenere l’impatto che lo tsunami delle cronicità provocherà. Salterà quel sistema costruito a silos che previlegia prevalentemente la specialistica ad alto costo riducendo ulteriormente il collo di bottiglia per l’accesso alle cure. Bisognerebbe invece cominciare a pensare ad altri capitoli del Def che possano realmente “motivare” la medicina convenzionata.

Come?
Riducendo la pressione fiscale sulla parte variabile. Mi spiego. Oggi molte quote variabili, fisse, fintamente variabili o fintamente fisse, sono quote che alla resa dei conti producono certamente una costanza di reddito ma alla fine non invogliano il medico a migliorare le proprie performance. E d’altro canto perché mai oggi un medico dovrebbe investire su se stesso a fronte di una realtà contrattuale che non gli permette di aumentare il reddito o il cosiddetto percorso di carriera o il suo gradiente sociale? In sostanza perché l’investimento già previsto in altri capitoli di spesa del Def per la valorizzazione dell’occupazione, non potrebbe considerare, in maniera specifica e finalizzata, l’ambito della Medicina Generale come asset strategico che offra lavoro, e lavoro qualificato, a giovani collaboratori di studio, assistenti sanitari, infermieri? Perché non considerare anche l’insieme degli oltre 50mila ambulatori come una sorta di rete d’impresa che crea occupazione e un aumento della ricchezza del Paese anche attraverso meccanismi di riduzione per la contribuzione per il personale?

Lei ha parlato di progressione di carriera, un tema che appare difficilmente declinabile nella medicina generale
Diciamo anche impossibile.

Quindi?
Dobbiamo comprendere cosa è la carriera. Il Paese vive nella logica del posto fisso. La Medicina generale, al contrario, è consapevole di non avere quella tipologia di “posto fisso” che comporta la possibilità di una progressione di ruoli. Non ha, quindi, quella spinta motivazionale che la incentiva a crescere. E mi riferisco a una spinta non necessariamente reddituale. Allora forse, ragionando in questi termini, credo sia arrivato il momento di iniziare a creare anche per la medicina generale una leadership in ambiti come quello della docenza e della ricerca. Abbiamo bisogno di docenti che formino rapidamente medici di medicina generale capaci, da subito, di entrare nel mercato del lavoro. Ecco questo è il significato di carriera: poter raggiungere per il professionista un riconoscimento culturale. Tutti percorsi attualmente inesistenti nel nostro Accordo colletttivo nazionale.

Un punto importante nella vostra agenda è il ricambio generazionale. Gli effetti della gobba pensionistica determineranno nei prossimi 10 anni l’abbandono di un numero importante di medici di famiglia e se non si provvede a sostituirli il sistema corre il rischio di andare in default. Come uscire dall’impasse?
Questa è una criticità che ha bisogno di una risposta complessa e che non può trovare solo soluzioni temporanee. Servono azioni legislative, azioni di finanziamento, probabilmente già da questo Def, e azioni contrattuali che si concludano inderogabilmente entro la fine dell’anno. Dal primo gennaio 2018 le normative sull’accesso e sulle graduatorie devono essere a regime. Se tutto questo non si realizzerà, non ci sarà più interesse da parte nostra a chiudere l’accordo.

Un altro ambito interdetto ai Mmg è la prescrizione dei farmaci più appropriati in termini di efficacia clinica per pazienti cronici, ad esempio per i diabetici e bronchitici cronici, solo per citarne alcuni. Che ne pensa?
Che continuo non a capire perché, prescindendo dalle problematiche relative ai costi, non possiamo prescrivere i farmaci contro l’epatite C. Eppure è un antivirale che ha le stesse caratteristiche di quello che utilizziamo per la varicella. Insomma, su questi temi c’è bisogno di una riflessione, che peraltro si sta cominciando a fare, su come cambiare i meccanismi di regolazione. Inoltre il paradosso è che noi medici non possiamo né essere formati né informati sui farmaci che non possiamo prescrivere: questa cosa va cambiata. Questa logica dei compartimenti stagni va scardinata. E sono convinto che la medicina generale è il soggetto deputato a compiere questa operazione.

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