Scienza e futuro dell’umanità sono gli argomenti sui quali ci si interrogherà a Venezia, città che per secoli ha svolto una funzione di ponte fra mondi diversi, attraverso il Mediterraneo e con l’estremo oriente.

E il mio modo di guardare al futuro non può che essere influenzato dal fatto che sono un immunologo e un oncologo: da questo ponte, vedo tempeste ma anche sprazzi di sereno, che aprono le porte alla speranza.

Iniziamo dalle tempeste. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha recentemente individuato una serie di minacce per la salute dell’uomo, costituite da microbi vecchi e nuovi. Ma la minaccia viene anche da malattie come i tumori. La scienza e la ricerca scientifica rappresentano una cintura di sicurezza per l’umanità, perché solo grazie ad esse possiamo sperare di affrontare con efficacia tutte queste minacce. E le armi immunologiche – fra cui i vaccini – costituiscono uno dei baluardi fondamentali per la nostra difesa.

Siamo esposti in continuazione ad agenti microbici che diventano resistenti ai farmaci, e grazie alla maggior globalizzazione della società e ai viaggi sempre più frequenti si diffondono in luoghi lontani da dove si sono verificati inizialmente. Qualche esempio? Il virus Zika, che si trasmette attraverso il morso delle zanzare Aedes aegypti, è arrivato nel sud degli Stati Uniti. Chikungunya è arrivato fino a noi. Ebola è stata una lezione che speriamo di avere imparato: dobbiamo pensare le malattie dei paesi più poveri come se fossero anche nostre. E dobbiamo essere preparati ad affrontarle, con misure di contenimento, farmaci e vaccini.

I vaccini di cui disponiamo non coprono l’intero universo delle malattie che colpiscono l’umanità: alla loro protezione sfuggono ancora alcune malattie infettive, che ne costituiscono il campo tradizionale di azione, oltre a patologie che ne esulano come quelle croniche o degenerative. Pensiamo ad esempio alla tubercolosi (Tbc), un flagello che ci accompagna da lungo tempo e che ha ucciso più persone di qualsiasi altra malattia. Un terzo dell’umanità è portatore del germe della Tbc: di queste persone, ogni anno, 10 milioni si ammalano, e un milione muore. Potremo raggiungere l’obiettivo di ridurre la mortalità da tubercolosi del 90% entro il 2030 solo sviluppando un vaccino efficace.

Un altro germe che ci accompagna da sempre è l’Helicobacter pylori, un batterio che infetta più della metà del genere umano causando gastrite, ulcera peptica, adenocarcinoma gastrico e linfoma delle mucose. Oggi abbiamo la speranza che un vaccino contro Helicobacter pylori diventi il terzo anticancro a nostra disposizione, dopo quelli contro epatite B e human papilloma virus (Hpv).

Proprio la lotta contro il cancro è la nuova frontiera dei vaccini e, più in generale, delle armi dell’immunità. Dati recentissimi suggeriscono che si possano fare vaccini terapeutici che funzionano: sono incoraggianti i primi risultati di una sperimentazione clinica di un vaccino personalizzato contro il melanoma, che coniuga le tecniche più avanzate di immunologia e di genomica. Ma questo è il futuro. Il presente, oltre ai vaccini preventivi, sono l’immunoterapia e le terapie immunologiche, che stanno cambiando in modo radicale lo scenario della lotta contro il cancro. Si sono aggiunte alle armi tradizionali come chirurgia, radioterapia, chemioterapia e terapie mirate, ritagliandosi un ruolo ben definito e crescente. Ma, ancora, c’è bisogno di ricerca.

Davanti a noi abbiamo diverse sfide, di innovazione e di sostenibilità, per continuare a garantire a tutti l’accesso alle cure migliori. Ma anche di condivisione: grazie ai progressi fatti, il cancro è diventato un problema di
salute rilevante anche in Africa. Indispensabile, dunque, condividere anche con i paesi più poveri le armi efficaci che già abbiamo a disposizione, per costruire ponti di pace.

 

http://www.repubblica.it/salute/medicina/2017/09/19/news/mille_germi_alle_porte_ma_possiamo_fermarli-175914133/