Porzioni giganti e cibi ultraprocessati, ricchi di zuccheri, grassi e sale e ad alta intensità calorica: il cambiamento delle abitudini alimentari in corso riguarda la quantità e la tipologia di cibi assunti. Ad avere problemi di peso è un italiano su due. Ma anche nei paesi a basso e medio reddito l’obesità è in drammatico aumento e, con essa, le malattie non trasmissibili come ad esempio il diabete e le malattie cardiovascolari.

Oggi è sempre più chiaro che scegliere cosa mangiare non è una faccenda individuale. Produttori, distributori, commercianti, pubblicitari, ciascuno ha una parte di responsabilità se mangiamo tanto e male.

In particolare, l’Europa, nel suo piano d’azione per combattere l’obesità infantile, cui la Direzione Generale Salute tiene moltissimo, riconosce nell’industria alimentare un attore importante. Servono interventi incentivanti e disincentivanti rivolti a produttori, distributori e commercianti per sollecitare un maggior utilizzo di certi ingredienti a discapito di altri e anche una maggior trasparenza nell’etichettatura. Inoltre, sempre maggior attenzione viene posta alle comunicazioni rivolte ai più vulnerabili e influenzabili, i bambini. Urgono strategie rivolte alle compagnie pubblicitarie per regolare e limitare il marketingin tv e online diretto ai più piccoli.

Secondo le stime, di questo passo nel 2025 nel mondo 2,7 miliardi di persone saranno obese o sovrappeso, con un costo che raggiungerà i milleduecento miliardi di dollari. Tutto il mondo celebra oggi il «World Obesity Day» che sarà un’occasione per ribadire che «i traguardi che ci siamo prefissati saranno raggiunti solo con alcuni cambiamenti nella cosiddetta food chain, la catena di produzione del cibo» ha spiegato Jo Jewell dell’Ufficio Regionale per l’Europa dell’Oms nel suo intervento al Forum Europeo della Salute di Gastein.

Parla di «tempesta perfetta» Karen Fabbri, responsabile di Food 2030, iniziativa europea di ricerca e innovazione per la sicurezza alimentare e nutrizionale. «Per la produzione di cibo sono impiegate il 70% delle risorse globali di acqua e il 30% dell’energia. Entro il 2050 la popolazione mondiale raggiungerà i 9 miliardi e la richiesta di cibo salirà del 60%».

Le varie forme di malnutrizione, che includono tanto i 2 miliardi di obesi quanto i 795 milioni di persone sottopeso che ancora lottano contro la fame, costano l’11% del Pil mondiale. L’unico modo per risolverle, secondo la Fabbri, è quello di ripensare radicalmente la nostra alimentazione, fonti proteiche in particolare.

Per risolvere il problema cibo, di cui si tornerà a parlare nel World Food Day, il 16 ottobre prossimo, non è sufficiente concentrarsi sulla sfera squisitamente medica o sanitaria, ma bisogna coinvolgere e far collaborare tutti i settori coinvolti. Per Corinna Hawkes, direttrice del Centre for Food Policy della University of London City, «dal punto di vista della salute, la prima cosa da fare è chiara: rendere i cibi sani più disponibili, più appetibili e a prezzi più accessibili. Questo è un problema di equità». L’obiettivo è uno solo: rendere facili le scelte salutari.

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