Che cosa impedisce agli ospedali di adottare strumenti digitali avanzati, che aiutino i medici nelle decisioni di natura clinica? E come si possono attivare tecnologie informatiche che migliorino la cura dei malati, per esempio segnalando ai medici le evidenze più pertinenti ai casi che hanno di fronte, come in una sorta di post-it virtuale?


Sono alcune delle domande a cui risponde uno studio appena pubblicato sulla rivista “Implementation Science” e condotto nell’ambito del Codes, un programma cofinanziato dal ministero della Salute e da Regione Lombardia. La ricerca, svolta da un gruppo multidisciplinare sotto la guida dei ricercatori dell’Università degli Studi di Milano, passa in rassegna le barriere e i facilitatori che influenzano l’adozione di applicazioni digitali all’interno degli ospedali, concentrandosi in particolare sui supporti decisionali basati sulle evidenze scientifiche.
«L’adozione di una nuova tecnologia informatica non è un passaggio off-on, ma un processo complesso che incontra ostacoli diversi a seconda del livello culturale, organizzativo e tecnologico di ciascuna struttura – spiega Elisa Liberati, psicologa del lavoro nelle organizzazioni e autrice dell’articolo -. Molti studi hanno dimostrato che non basta rendere disponibile un software per garantirne l’utilizzo: non di rado, i supporti sono installati e funzionanti, ma i medici non mostrano né l’interesse né l’intenzione di usarli».
Una considerazione tanto più valida per i sistemi di supporto alle decisioni cliniche, che si trovano all’apice di un percorso che inizia con la digitalizzazione di un ospedale. Questi software, infatti, selezionano le evidenze di letteratura a seconda delle caratteristiche del paziente e offrono ai medici le indicazioni per una cura ottimale. Di fatto, rendono più facilmente e immediatamente applicabili al singolo malato le migliori conoscenze prodotte dalla comunità scientifica internazionale.
«I supporti decisionali digitali basati sulle evidenze non sono solo una tecnologia informatica – sottolinea Liberati -. Ricoprono una funzione di trasmissione del sapere, portando fino al letto del paziente il paradigma dell’evidence-based medicine. E proprio per questo incontrano resistenze che diminuiscono se i medici hanno dimestichezza tanto con i mezzi informatici quanto con le evidenze».
Lo studio identifica sei livelli di maturità, sei posizionamenti nei quali i manager e i responsabili Ict saranno in grado di riconoscere, in tutto o solo in parte, i propri ospedali: «Abbiamo cercato di far emergere la complessità del processo di innovazione informatica in sanità e abbiamo proposto un modello operativo per l’implementazione», spiega ancora Liberati.
Sei leve su cui agire, sei strategie da mettere in campo a seconda della tipicità delle strutture. Se medici e infermieri sono ostili, temono intrusione, controllo e limitazioni della libertà professionale, occorre demistificare il sistema e chiarire gli aspetti legali, poiché la prospettiva di ripercussioni nel caso di mancata adesione alle raccomandazioni può creare ansia e paure. Viceversa, in contesti più favorevoli, è importante coinvolgere la comunità degli utenti, cioè i professionisti sanitari, nel processo di integrazione, rendendoli partecipi della selezione delle evidenze e dei criteri di attivazione dei messaggi guida. Infine, nelle realtà più avanzate e ben disposte, sarà utile concentrarsi sugli aspetti di usabilità e sull’adattabilità del sistema alle condizioni lavorative dei singoli reparti, rendendo effettive le potenzialità dello strumento.
«Ma esiste un altro aspetto fondamentale che abbiamo voluto evidenziare – afferma Lorenzo Moja, responsabile del Codes e ricercatore dell’Università degli Studi di Milano, Irccs Galeazzi -. Ogni implementazione tecnologica richiede un’attenta riflessione e non può essere esente da interventi di valutazione». Per questo il programma Codes ha incluso due studi randomizzati, che per la prima volta in Italia hanno misurato l’efficacia di un sistema di supporto decisionale digitale presso due ospedali italiani: quello di Vimercate, polo generalista alle porte di Milano, e l’Irst di Meldola, struttura oncologica di riferimento per la Romagna.
Un punto cruciale, quello della valutazione di dispositivi capaci di incidere sulla salute delle persone. «Produrre un’applicazione, dire che funziona e cercare di venderla agli ospedali è un’operazione relativamente semplice – conclude Moja – . Tenendo come confronto il rigido iter di validazione previsto per i farmaci e per i dispositivi medici, è evidente come le applicazioni informatiche sfuggano a percorsi di valutazione virtuosi. Ed è facile ipotizzare che nel prossimo futuro l’aumento di proposte del mercato medtech possa tradursi in una difficoltà per gli ospedali. Allo stesso tempo, l’analisi informatizzata dei milioni di dati prodotti dalle cartelle cliniche elettroniche e dai database regionali avrà un ruolo sempre maggiore, sulle cui potenzialità occorre vigilare: supportare le decisioni cliniche non è una prerogativa di tutti e pochissimi strumenti informatici sono stati oggetto di studio».

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