C’è un traguardo importante nella vita ed è quello dei settant’anni: se si arriva sani lì, si vince la gara della longevità, cioè si può andare avanti tranquillamente fino a novanta. Per chi, invece, ha già problemi di salute a quell’età, le probabilità di sopravvivenza si abbassano notevolmente.

Ma come si fa ad arrivare in buona salute a settant’anni? «Tutto dipende dagli stili di vita che seguiamo soprattutto fra i 55 e i 70 anni — spiega Elio Riboli, direttore della School of Public Health all’Imperial College di Londra e professore di Igiene all’Università Humanitas dell’omonimo istituto a Milano — E cioè da cosa mangiamo, da quanto movimento facciamo e da quanto pesiamo».

Ormai siamo stufi di sentire che una dieta corretta, un’adeguata attività fisica e un giusto indice di massa corporea sono indispensabili per prevenire malattie come i tumori o le patologie cardiovascolari come l’infarto o l’ictus, ma i risultati di uno studio, coordinato da Riboli, di cui parlerà a Venezia in occasione della XIII Conferenza su «The future of science», dovrebbe convincerci definitivamente che non c’è altra soluzione. «Abbiamo osservato nel tempo due gruppi di individui, uomini e donne, di diversi Paesi europei — continua Riboli —. Le persone del primo seguivano una dieta sana con moderato consumo di alcol, praticavano regolare attività fisica, non erano obese, avevano una pressione del sangue normale e non fumavano. Quelle dell’altro, invece, facevano tutto il contrario». I risultati sono stati spettacolari: a settant’anni (ma anche oltre) erano vive il 93 per cento delle persone del primo gruppo, e l’esperienza scientifica ci dice che chi mantiene uno stile di vita sano in quella fascia di età ha buone possibilità di andare avanti fino a 90 e oltre. Mentre nel secondo le percentuali di sopravvivenza si riducevano (già nella fascia considerata, cioè fino ai settant’anni) a 65 per cento per gli uomini e a 70 per le donne per colpa di tumori e malattie cardiovascolari.  L’età critica, dunque, è fra i 55 e i 70: è lì che si decide il proprio futuro. E non a caso il titolo della Conferenza di Venezia di quest’anno è proprio «The lives to come», e cioè «Come vivremo». È soltanto negli ultimi anni che i ricercatori si sono resi conto dell’importanza degli stili di vita e, in particolare dell’alimentazione, nella prevenzione delle malattie cardiovascolari, ma soprattutto dei tumori.

«Per quanto riguarda il cancro — fa notare Riboli — gli studi sono cominciati all’inizio del Novecento e allora l’attenzione era focalizzata soprattutto sulle sostanze chimiche derivate dalla combustione dei petroli. Poi si sono prese in considerazione le radiazioni (nucleari e raggi ultravioletti) e infine i microrganismi, come il papillomavirus, responsabile del tumore del collo dell’utero».

Tutti questi fattori spiegano, però, soltanto alcuni tipi di tumore come quelli della pelle (sostanze chimiche), certe leucemie (radiazioni), certi melanomi (raggi UV), ma non i più frequenti come quelli del seno, del colon, della prostata. Ecco allora che, negli anni Ottanta, si è cominciato a pensare alla dieta come a un importante fattore di rischio. «Gli alimenti non sono cancerogeni in sé — conclude Riboli —, ma favoriscono lo sviluppo dei tumori in quanto interferiscono con il metabolismo delle cellule» . E se la macchina cellulare non funziona come dovrebbe, ecco che si può innescare l’anomalia che dà origine alla malattia.

Fonte: http://www.corriere.it/cronache/17_settembre_22/55-ecfa81f2-9ef8-11e7-8e38-5c41d07827be.shtml