A un certo punto della giornata, dopo un giro di visite in Piemonte, Paolo Gentiloni si chiude con il suo staff in una saletta dell’aeroporto di Genova. Squillano i telefoni, arrivano messaggi e WhatsApp, in un filo diretto con Bruxelles.
La prima votazione, la seconda, la terza. Milano primeggia ma non riesce a sfondare. Il premier compone un numero, poi un altro, e un altro ancora: dal collega portoghese al leader estone allo spagnolo Rajoy, sms anche con Angela Merkel e il presidente francese Macron, fino all’ultimo minuto utile cerca di lavorare alla causa. Quando, poco dopo le sei, la telefonata del sottosegretario Gozi spegne tutte le speranze, annunciando la sconfitta al sorteggio, l’amarezza ha il sapore della beffa, come scrive Gentiloni in un tweet. E si accompagna a un’altra delusione: che alla corsa dell’Italia siano mancati i voti di due Paesi amici come Spagna e Germania. «La candidatura di Milano era una delle più forti, abbiamo raccolto voti da varie parti d’Europa, a dimostrazione del nostro peso», ci si consola a partita ormai chiusa.
Alla fine di tutto, quando non resta che ingoiare l’amarezza per un’occasione sfumata a un passo dal traguardo, nelle stanze di Palazzo Chigi non resta che ripercorrere le tappe della vicenda, consolandosi per il grande lavoro fatto. «Siamo partiti in ritardo rispetto ad altre capitali, la prima riunione operativa con le varie istituzioni è stata fatta a gennaio. Molto in ritardo. Ma c’è stato un grande lavoro di squadra e siamo diventati competitivi», spiegano. Una delle rare occasioni in cui, in Italia, si è riusciti a fare gruppo tra istituzioni di colori diversi, grazie anche all’ottimo rapporto tra il premier Gentiloni e il presidente della Lombardia Maroni. «Subito, dato il ritardo con cui siamo partiti, pensavamo di correre per superare la prima fase: man mano che la candidatura cresceva, però, ci abbiamo veramente creduto».
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