Diagnosi precoce non significa necessariamente tumore piccolo da trattare subito per guarire. Fare del tumore un sorvegliato speciale può essere una valida opzione terapeutica in caso di carcinoma prostatico di piccole dimensioni e bassa aggressività.
La «sorveglianza attiva» è un protocollo di monitoraggio costante che permette di evitare, o perlomeno di rinviare, il trattamento e risparmiare così al paziente i pesanti effetti collaterali a carico della sfera sessuale, urinaria e rettale.
A Milano, all’Istituto nazionale tumori INT, questa opzione terapeutica è al centro di uno studio ormai decennale: «Si tratta di uno dei più ampi studi condotto da un singolo istituto a livello europeo, comparabile con le più importanti coorti nord americane – afferma Riccardo Valdagni, Direttore della Radioterapia Oncologica 1 e del Programma Prostata Istituto Nazionale Tumori di Milano – È in sostanza la più grande casistica italiana di pazienti con tumore della prostata a basso rischio attraverso la quale abbiamo potuto identificare un approccio alla malattia molto diverso rispetto al passato».
In Italia, ci sono 484.170 persone affette dal cancro alla prostata, 34800 nuovi casi l’anno e 7.174 decessi. É la neoplasia più frequente tra i soggetti di sesso maschile e rappresenta oltre il 20% di tutti i tumori diagnosticati a partire dai 50 anni di età. Tuttavia, in due casi su cinque esso è «indolente», in altre parole potrà non aver mai la forza di manifestarsi: controllarlo significa evitare il sovra-trattamento.
Lo studio è iniziato in INT nel 2005 e nel 2007 è iniziata la collaborazione con il gruppo internazionale PRIAS (Prostate Cancer Research International Active Surveillance), coordinato dall’Erasmus University Medical Center di Rotterdam, in Olanda. In totale sono stati arruolati e seguiti 818 pazienti con tumore della prostata ad andamento indolente, che sono stati sottoposti a monitoraggio continuativo.
Tutti i pazienti sono sottoposti annualmente a due controlli con palpazione della ghiandola prostatica e a quattro analisi del PSA. Al termine del primo anno, dopo l’entrata nel programma di sorveglianza attiva, è necessario ripetere anche la biopsia. Il monitoraggio è necessario perché, se il tumore supera i livelli di indolenza, il paziente esce immediatamente dalla sorveglianza e viene indirizzato al trattamento.
«Il dato estremamente positivo emerso dallo studio – commenta il professor Valdagni – è che a distanza di cinque anni, il 50 percento dei pazienti è ancora nel programma di sorveglianza attiva. In più, non si sono verificati decessi a causa del carcinoma prostatico e neppure metastasi. Questo significa che la metà dei pazienti arruolati, a 5 anni dalla diagnosi, ha potuto evitare gli effetti indesiderati di un trattamento curativo non necessario e quindi inappropriato».
E se possiedono i criteri di un tumore indolente, i maggiori beneficiari potrebbero essere proprio i pazienti giovani, under 60, la cui qualità di vita può essere più a lungo compromessa dagli effetti collaterali dei trattamenti e che hanno più probabilità di rimanere nel tempo in sorveglianza attiva.
Fonte: http://www.lastampa.it/2017/09/20/scienza/benessere/tumore-alla-prostata-con-la-sorveglianza-attiva-si-possono-evitare-i-trattamenti-pi-invalidanti-tTqPPnrNjYSIVEUXjS2JCN/pagina.html