Il dosaggio dell’antigene prostatico specifico (Psa), accompagnato dalla visita urologica e dall’ecografia, rappresenta il «gold standard» dei controlli. Ma quando il sospetto indica la possibile presenza di un tumore della prostata, malattia che ogni anno colpisce trentacinquemila italiani, da un accertamento non si può prescindere.
Soltanto la biopsia della prostata è infatti in grado di dare una risposta definitiva ai dubbi dell’urologo. Stabilito il calendario dei controlli da effettuare e raggiunti tassi di guarigione prossimi al novanta per cento, la sfida degli ultimi anni è quella di rendere sempre più accurate le diagnosi. E, quando possibile, ridurre l’invasività delle procedure.
L’obiettivo è anticipare i tempi della diagnosi: una neoplasia riconosciuta in fase iniziale è più semplice da curare, grazie alle numerose terapie oggi a disposizione. La biopsia viene dunque eseguita con prelievi casuali all’interno dell’organo. Questo significa che in alcuni casi si rischia di non prelevare il tessuto tumorale. Questo comporta la necessità di ripetere la biopsia: una scelta per molti di noi obbligata che si ripercuote però sul paziente, oltre che sulle casse del servizio sanitario.
Da qui l’invito a cambiare approccio, per «prendere di mira» la prostata in maniera più accurata. Risonanza magnetica, seguita da una biopsia «eco-guidata».
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