Le donne in sovrappeso o obese corrono un maggior rischio che la mammografia non individui la presenza di un tumore della mammella, finché questo non cresca fino a superare i 2 cm di diametro.

Fino ad oggi un BMI elevato è stato associato ad un aumentato rischio di patologie cardio-metaboliche e tumorali, ma non era mai stato chiamato in causa nella ridefinizione della tempistica dello screening mammografico per il tumore della mammella. Lo spartiacque dei 2 cm, nel caso del tumore della mammella, è molto importante sia a fini prognostici, che di definizione del disegno terapeutico; sotto i 2 cm di diametro massimo si parla di tumore di stadio I, al di sopra di tumore di stadio II.

Nel caso dei tumori individuati allo screening mammografico, sia il BMI che la densità del tessuto mammario sono risultati associati ad un tumore di grandi dimensioni al momento della diagnosi; nel caso dei cosiddetti ‘carcinomi di intervallo’ (tumori scoperti entro 12 mesi dall’esecuzione di una mammografia refertata come negativa) o entro due anni da una precedente mammografia, l’unica correlazione emersa è con il BMI. Le donne con elevato BMI presentavano una prognosi peggiore rispetto alle donne con BMI inferiore per i tumori individuati nell’intervallo tra due mammografie. La densità mammaria non mostrava infine alcuna associazione significativa con la progressione di malattia.

Oltre ad un ‘cancro di intervallo’ di dimensioni maggiori, le donne con elevato BMI possono presentare altri fattori che le espongono al rischio di una prognosi peggiore, compresa la composizione molecolare dei tumori e il livello di espressione dei recettori ormonali.

In Svezia l’intervallo tra un screening mammografico è l’altro è fissato in 18-24 mesi (l’American Cancer Society raccomanda 12 mesi, la United States Preventive Services Task Force 24 mesi); in Italia lo screening prevede una mammografia ogni 2 anni tra i 50 e i 69 anni.

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