Nel 90 per cento dei casi l’esordio clinico del tumore endometriale è rappresentato da metrorragia, ovvero dal sanguinamento uterino anomalo indipendentemente dal ciclo mestruale. Per tale motivo le perdite ematiche in donne in età post-menopausale dovrebbero essere segnale di allarme e motivo di indagine celere e approfondita.
Non sono da sottovalutare neppure i sanguinamenti anomali in pre-menopausa e la perdita ricorrente intermestruale che risultano di più difficile interpretazione. Il carcinoma dell’endometrio costituisce l’8-10 percento delle neoplasie femminili nei Paesi industrializzati, rappresentando il tumore ginecologico più frequente dopo cancro al seno. In Italia si registrano circa 8mila nuove diagnosi ogni anno.
La prevenzione primaria, per limitare le probabilità di ammalarsi, si basa sullo stile di vita: in particolare, meglio ridurre i chili di troppo, prediligere cibi ad alto contenuto di fibre e scarso contenuto di grassi e zuccheri, praticare regolarmente attività fisica, che ha sempre un effetto benefico sull’organismo. L’abbondante tessuto adiposo, infatti, può portare a una maggiore produzione di estrogeni, che stimolano l’endometrio in modo improprio.
Non esiste uno screening di massa sulla popolazione femminile, come accade con la mammografia per il cancro al seno o il Pap test e il test Hpv per quello dell’utero. Qualora si ponga il sospetto ecografico di ispessimento o irregolarità dell’endometrio, coadiuvato dalla sintomatologia clinica e della storia personale di ciascuna paziente, l’esame di prima scelta per eseguire una corretta diagnosi è l’isteroscopia ambulatoriale diagnostica con biopsia. Il trattamento di elezione del carcinoma dell’endometrio in fase iniziale è la chirurgia minimamente invasiva (laparoscopia) che prevede la rimozione dell’utero (isterectomia totale), l’annessiectomia bilaterale (asportazione di tube e ovaie), e la stadiazione linfonodale che prevede l’asportazione del linfonodo sentinella o dei linfonodi pelvici e aortici. In pazienti con fattori si rischio possono essere necessarie terapie adiuvanti che comprendono la chemioterapia e/o la radioterapia. Se diagnosticato e curato in stadio iniziale, la sopravvivenza giunge al 90-95% dei casi a 5 anni dalla diagnosi.