I giovani sono una merce rara nelle nostre università, ancora più dei fondi. Il conto più salato dei tagli all’università li hanno pagati i cervelli più giovani che vedono come un miraggio l’approdo alla cattedra proprio negli anni più fecondi della loro carriera.

Un’intera generazione perduta dalla nostra accademia dove oggi si contano solo 20 professori ordinari con meno di 40 anni su un totale di 12.975 docenti di prima fascia: in pratica meno dello 0,2%. Non va molto meglio tra i professori associati dove gli under 40 sono 906 su 19.924 (il 5%). Mentre tra i ricercatori a tempo indeterminato i giovani sono 1.422 su 15.982 studiosi (neanche il 10%). In pratica meno del 5% di tutto il corpo docente e di ricerca stabile delle nostre università (2.343 tra professori e ricercatori su un totale di 48.881 studiosi) ha meno di 40 anni. Nel 2008 erano cinque volte di più, come dimostrano gli ultimi dati elaborati dal centro studi Here (Higher education research) della Fondazione Crui (la Conferenza dei rettori).
Una fotografia più o meno simile che si “ritrova” anche nella scuola (lunedì partirà il nuovo anno): l’età media degli insegnanti è risalita a 51,2 anni, e sotto i 30 anni ci sono appena 5.500 professori.

Numeri sconfortanti che, sul fronte universitario, mostrano un declino inarrestabile iniziato nel 2008 quando sono cominciati i tagli al Fondo di finanziamento che hanno tolto un miliardo agli atenei. E che hanno lasciato profondi segni. Anche nelle buste paga di chi all’università già ci lavora da anni come dimostra il clamoroso sciopero degli esami proclamato da oltre 5mila tra docenti e ricercatori. Ma se la protesta dei docenti sugli stipendi – che come dimostra un’indagine di Inomics sono di poco sotto la media europea (90mila euro in media per un ordinario, 60mila un associato e circa 40mila un ricercatore) – ha conquistato i riflettori e l’impegno del Governo ad affrontare il nodo nella prossima legge di bilancio, la grave emorragia di giovani nelle nostre università è circondata da un silenzio assordante, invece di essere affrontata come una emergenza nazionale. Come dimostra anche il confronto con l’Europa: secondo l’ultimo Annuario scienza tecnologia e società l’Italia ha solo il 15% di under 40 (contando anche tutti i ricercatori a tempo determinato e i docenti a contratto), Inghilterra e Francia ne hanno il doppio (come la media Ue) e la Germania oltre il triplo.

Oggi tutto il personale universitario ha un’età media di 53 anni (era 51 anni nel 2008). Se quella dei ricercatori a tempo indeterminato è di 49 anni, quello degli associati sale a 52 anni, mentre quello degli ordinari arriva addirittura a sfiorare i 60 anni (59,3 anni). Più “bassa” l’età media dei ricercatori a tempo determinato che è di 38 anni. Le elaborazioni mostrano anche come fra il 2008 e il 2016 tutto il personale scientifico degli atenei è calato di 13.887 unità (il 20%), a causa in particolare del taglio dei fondi e delle restrizioni del turnover (tornerà al 100% solo dal prossimo anno) con effetti devastanti sui giovani. Nel complesso gli under 40 sono diminuiti di quasi l’80% (da 10.735 a 2348). Per gli ordinari il calo è stato dell’85% (c’erano125 ordinari oggi sono 20), come per i ricercatori (da 9.403 a 1.422) che comunque sono stati sostituti almeno in parte da quelli a tempo determinato (oltre 5mila). Perfino i professori associati che sono complessivamente aumentati del 9% hanno visto un calo del 24% dei docenti al di sotto dei 40 anni (erano 1.197 ora sono 906) . Da qui la necessità di un maxi piano di assunzioni visto che si stima che nei prossimi tre anni andranno in pensione il 20% dei cattedratici.

Nella legge di bilancio del 2016 era arrivato un primo segnale con l’assunzione straordinaria di mille ricercatori di tipo b: quelli che dopo tre anni possono accedere alla cattedra. Ma il piano non è stato ripetuto nell’ultima manovra. Mentre è caduto nel vuoto, a causa anche delle polemiche sollevate nel mondo accademico e di una mezza bocciatura del Consiglio di Stato, il tentativo di assumere 500 professori all’anno attraverso il fondo Giulio Natta con chiamate anche dall’estero dei migliori cervelli senza passare dall’iter normale che passa prima attraverso l’abilitazione e poi i concorsi. Il fatto è che oggi oltre alla carenza di risorse c’è anche un problema di tempi di ingresso che condannano i giovani ad anni di precariato dopo il dottorato tra assegni di ricerca e contratti a tempo determinato che li portano a raggiungere i 40 anni senza avere certezze sul futuro. Su questo fronte la ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli ha annunciato un possibile riordino e semplificazione delle carriere nella legge di bilancio. «Dopo il dottorato entro tre anni occorre sapere se si è dentro o si è fuori. Così i meritevoli possono entrare entro i 30 anni e diventare professori entro 35-40», spiega Stefano Paleari direttore scientifico di Here e docente a Bergamo. Per Paleari poi servono più risorse, altrimenti «possiamo avere le regole migliori ma un motore anche se è da corsa si ingrippa». Risorse che devono servire a nuove assunzioni, ma anche ad aumentare gli stipendi a tutti i livelli: «Il rischio sennò è quello di far diventare l’università una scelta di ripiego facendo così perdere qualità a tutto il sistema».