Nel mondo iper-efficiente e accelerato di oggi chi resta indietro è fuori dai giochi: la fragilità, di qualunque natura, non è prevista e spesso viene tollerata a fatica. Vale anche per gli anziani, una fetta sempre più ampia di popolazione (siamo a oltre il 22 per cento del totale e in continua crescita): con l’età si diventa più fragili e per questo si viene sospinti ai margini della società e della vita.

Ma la fragilità non è un destino che ci attende invariabilmente allo scoccare dei 65 anni. Lo sottolinea con forza una revisione degli studi sull’argomento pubblicata di recente su Frontiers in Physiology, secondo cui bisogna superare lo stereotipo che vede l’anziano inesorabilmente avviato su una china discendente.

Con un corretto stile di vita, il tanto agognato “invecchiamento attivo”, il momento in cui si dovrà affrontare il declino può essere infatti posticipato, e parecchio. Un anziano fragile non ha acciacchi evidenti, ma vive in equilibrio precario perché la sua funzionalità si è pian piano deteriorata: un evento acuto come una frattura, una polmonite, un lutto possono alterare la situazione in maniera irreversibile, facendo precipitare le condizioni di salute. La fragilità è perciò una strada scivolosa su cui ci si avvia un passo alla volta, silenziosamente, senza la grancassa di esami sballati o malattie che impongono terapie: quasi senza accorgersene il pensiero si fa meno lucido, il passo è meno fermo, i movimenti rallentano, i muscoli si indeboliscono.

Si diventa fragili per un’involuzione dell’organismo che si manifesta con alterazioni nei livelli di alcune molecole pro-infiammatorie e ormoni, ma soprattutto con un cambiamento nella capacità di muoversi, ancora più semplice da valutare. In particolare, camminare bene è un fattore essenziale per capire il grado di vulnerabilità perché è un’azione che dipende molto dalla salute neuromuscolare generale: non ci si riesce quando il coordinamento motorio peggiora, come accade in concomitanza con il declino cognitivo.

La buona notizia è che il momento in cui si diventa vulnerabili non è scritto nei geni, può essere allontanato nel tempo e la ricetta per riuscirci è tutto sommato semplice: una buona vita sociale per stimolare il cervello, una dieta adeguata che non sia troppo abbondante, né carente di nutrienti per mantenere il peso forma, un’attività fisica regolare adeguata alle proprie condizioni di salute (si veda l’articolo a lato). L’obiettivo è restituire vita agli anni, evitando che la maggiore aspettativa di sopravvivenza si trasformi in una dilatazione del tempo trascorso alle prese con malattie e sofferenze.

http://www.corriere.it/salute/17_ottobre_18/vivere-fino-120-anni-salute-longevita-8da54bc2-b408-11e7-b73f-b517701f3ad7.shtml